The Big Brand Button | Benedetta Bruzziches

Un prodotto di lusso che spinge a ripensarsi: intervista a Benedetta Bruzziches

In una chiacchierata ricca di pathos e densa di concetti sofisticati, Benedetta Bruzziches ci racconta come delle borse, che in molti potrebbero ritenere semplicemente dei “prodotti”, possano invece essere il risultato di una serie di eventi e coincidenze degni di nota, ma soprattutto il frutto di un intreccio di materiali preziosi e pensati accuratamente, che trasformano gli oggetti in una vera e propria atmosfera

Una buona dose di coraggio e molta intraprendenza si sono dimostrate gli ingredienti fondamentali per dar vita a una storia basata su amore per il territorio e design di lusso, che si è concretizzata in un accessorio capace di spingere coloro che lo indossano a ripensare il proprio portamento, il proprio abbigliamento e, in ultima analisi, la loro identità

Segui il podcast su Spotify oppure su YouTube.

Chi è Benedetta Bruzziches

CEO del brand che porta il suo nome e cognome, Benedetta Bruzziches è una donna intraprendente e competente, che durante la sua carriera ha dimostrato un’eccellente dose di coraggio e determinazione

Nel corso degli anni, Benedetta ha fatto fronte a non pochi ostacoli, trovando nell’amore per il suo mestiere e nel supporto dei suoi collaboratori e dei suoi cari la forza di affrontare ogni sfida e dar vita a un brand dalla forte identità di marca.

Una storia ricca di intrecci 

Dietro al successo imprenditoriale di Benedetta si cela una serie di stupendi, ma complicati intrecci, che hanno contribuito a rendere la storia del suo business qualcosa di affascinante e ricco di spunti. Nasce a Caprarola, una pittoresca cittadina del Lazio che occupa un posto speciale nel suo cuore, nonostante siano molte le volte in cui si sposta per motivi lavorativi o di piacere. 

Durante i suoi studi, Benedetta intraprende un viaggio in India con una compagna, la cui madre era a capo di un’azienda che produceva proprio in quel Paese. Successivamente si sposta a Milano per proseguire gli studi, specializzandosi in Fashion Design. È proprio nel capoluogo lombardo che la sua carriera ha inizio, vedendola lavorare al fianco di uno dei più grandi geni della moda: Romeo Gigli. Quest’esperienza le insegna molto, ma le permette anche di conoscere più a fondo se stessa e le sue aspirazioni. Diventa chiaro per lei, infatti, che il suo posto è “nell’arena” della moda, dove può entrare nelle aziende e mettere le mani in pasta.

La sua mente continua a volare in India, per questo motivo decide di dare una svolta alla sua carriera mandando il suo curriculum a diverse aziende indiane legate al mondo della moda. Il caso, però, vuole che durante un suo soggiorno in un hotel di Bologna, Benedetta si imbatta in un imprenditore indiano, che, colpito dal suo abbigliamento, le propone di andare a lavorare per lui, proprio in India. Entusiasta e intenzionata a far tesoro di un’occasione del genere, Benedetta si licenzia e lascia Milano per andare a lavorare nella sua azienda, dove impara a disegnare borse.

Quella che vive è una sorta di esperienza epifanica, durante la quale lavora per terra circondata da donne che non parlano inglese e con le quali comunica a gesti, imparando che è possibile dialogare con le persone anche non parlando la stessa lingua. Tutto ciò le fa capire ancora una volta che quello che fa per lei è il ruolo da “stilista da banco”: vuole lavorare per le aziende, andando dove c’è bisogno di lei.

Tramutare una situazione svantaggiosa in un’opportunità che svolta la carriera 

Benedetta, compresa la sua vocazione, inizia a dar vita a un suo campionario di borse e dopo il suo rientro in Italia tenta di presentarsi a diversi showroom di Milano, ma senza successo. Tuttavia, ciò le permette di procurarsi un contatto, che la spinge a fare l’application per un importante showroom di Parigi, nel quale, per sua sorpresa, viene accettata.

A Parigi, Benedetta ottiene uno spazio espositivo dalle dimensioni molto ridotte per esporre le sue borse, per di più di fronte al bagno dell’edificio. Anziché vederla come una sconfitta, coglie il potenziale di tale situazione: davanti al suo stand si fermavano persone stanche e affamate. È così che decide di tramutare questo ostacolo in un vantaggio: si inventa il concept “Il tempo di un biscotto per guardare una borsa” offrendo baci di dama a coloro che avrebbero ascoltato la storia della sua collezione di borse. In questo modo Benedetta acquisisce i primi clienti, che nella seconda stagione arrivano a quota 200, mettendola addirittura in difficoltà in termini di risorse e processi produttivi. 

Il legame con il territorio: lo sviluppo della bellezza 

Per via delle difficoltà nel produrre le borse durante la sua seconda stagione, Benedetta decide di iniziare a realizzarle nella sua città natale, dove trova un sostegno grazie ad amici e conoscenti e dove non deve sostenere spese gravose legate all’affitto dei locali nei quali lavorare. 

Una decisione – quella di produrre nel suo territorio d’origine – che pur essendo partita da una necessità, si tramuta nella forte volontà di porre le fondamenta della sua azienda proprio nel luogo che l’ha vista nascere: Caprarola, un paese che lei ritiene privilegiato per lo sviluppo della bellezza. 

Il fatto di dover produrre in un piccolo paese, anziché in una grande città dove la produzione di borse è molto diffusa, ha portato Benedetta e il suo team a dover inventare un modello produttivo completamente diverso da quelli già esistenti. Così lei e i suoi collaboratori identificano un materiale particolare, la maglia di cristalli – impossibile da lavorare a macchina – e basano su di essa il loro modello produttivo, sperimentando metodi per lavorarla e insegnandoli, successivamente, alle sarte. 

Questa sfida a canoni e diktat si traduce in una rivitalizzazione delle antiche tradizioni di lavorazione a mano nel viterbese, che vedeva le donne della Tuscia riunirsi nelle piazze e nelle case per cucire, contribuendo a creare un tessuto sociale cruciale per la crescita del paese. Proprio così, ad oggi, molte delle sarte di Benedetta Bruzziches lavorano alle borse dalle loro case, avendo l’opportunità di organizzarsi in maniera più flessibile. 

In contrasto con le grandi aziende del lusso che delocalizzano, dunque, l’attività di Benedetta si radica nel territorio, nobilitandolo. Il suo metodo, infatti, negli anni trasforma il processo produttivo in una celebrazione di tradizione e comunità.

La donna al centro di ogni creazione: una borsa per ripensare se stesse 

Benedetta Bruzziches non definisce una cliente tipo o una buyer persona, ma afferma di ambire alla creazione di accessori che si riferiscono a una parte specifica e profonda di ogni donna. 

La progettazione di ogni accessorio si concentra su una sfera intima, offrendo un beneficio che restituisce la complessità della visione di sé. Le borse di Benedetta, infatti, vanno ben oltre la mera funzionalità e rappresentano degli strumenti per muovere la “regina” che c’è in ogni donna. 

I cristalli con le quali sono realizzate le borse, ricordano alle donne che esse sono in grado di portare la luce, mentre i loro interni di seta pura e preziosa, danno vita a un’esperienza extrasensoriale e accentuano il valore interiore di ciascuna.

Inoltre, il modo in cui alcune borse devono essere tenute in mano – per via della loro insolita forma – richiede un determinato portamento e spinge le donne a riconsiderare non solo il loro abbigliamento, ma anche la manifestazione della propria identità, ripensandosi dunque. Ogni borsa diventa, quindi, un mezzo per riflettere su se stesse, andando oltre la logica del vestirsi e influenzando il modo in cui le donne si presentano al mondo.  

Partire da zero… ma come affrontare una salita così ripida?

La storia imprenditoriale di Benedetta è avvincente, sembra un sogno che si è realizzato con facilità, ma la sua non è stata una strada priva di ostacoli e prove da superare. Ma allora qual è la formula che ha permesso di affrontare tutte le avversità? Benedetta spiega chiaramente che ciò che fa la differenza è una mentalità aperta, capace di sfruttare qualsiasi opportunità e di vedere il potenziale in ogni piccola occasione, perché di chiamate, se si è in grado di riconoscerle, ce ne sono tutti i giorni.

Oltre a questo, per lei è fondamentale mettersi nell’ottica di fare rete, essere capaci di utilizzare le parole giuste per comunicare i propri pensieri e saper ascoltare. Un lavoro del genere, infatti, non si può fare da soli: l’eccellenza è frutto di un amore che diventa tangibile perché è condiviso. Che sia con i propri cari, con i colleghi o con partner lavorativi, ciò che conta è rendere partecipi le persone che ci circondano, che possono spronarci a dare il meglio e sostenere i nostri progetti. 

Da brand a marca a brand: un flusso continuo che crea alchimia

Anche nel caso di Benedetta Bruzziches, la marca appare chiaramente come il luogo e lo spazio-tempo, in cui tutto si svolge. Proprio per questo, una figura come lei può essere considerata la marchesa della marca che porta il suo nome e cognome, e di cui ha a cuore la vita e il benessere.

Quanto al concetto di brand, riguardante la percezione di coloro che acquistano e conoscono le borse di Benedetta, questo viene descritto dalla CEO come un’alchimia. Il suo racconto, infatti, ci parla di concetti sofisticati e ci racconta tutto ciò che si percepisce e si respira osservando e toccando nell’intimo le atmosfere a cui ha dato vita. 


L’Opinione del Brand Master

Quando ho pensato di intervistare Benedetta Bruzziches avevo in mente tutt’altra persona e avrei giurato che tutto il tempo avremmo parlato usando le espressioni tipiche del linguaggio della moda.

Sono felice che non sia andata così. Sono felice e orgoglioso di aver trascorso un’ora con Benedetta, a parlare di sogni, di epiche avventure, di luoghi di frontiera, compresi quelli vicini.

Sono onorato di averla definita una marchesa, fiera rappresentante della sua marca. Ho scoperto che il suo non è un brand creato a tavolino, ma è la rappresentazione più autentica possibile di una filosofia. Benedetta Bruzziches (vale per la persona e per l’azienda) vive nell’immaginifico e nell’illusorio, con la pacatezza e la risolutezza di chi ha le radici ben piantate per terra.

Considero questa intervista una testimonianza imprenditoriale da prendere come riferimento, con l’augurio che possa accendere nuove scintille negli occhi di futuri marchesi.

Avrei voluto parlare di branding con Benedetta, sono finito a capire che questa avventura è la sua marca. Brand e Marca non sono la stessa cosa, continuo ad averne conferma ad ogni puntata di The Big Brand Button. Se ti interessa approfondire il tema della marca ti invito a leggere il mio primo libro “L’identità di marca”. È una vera risorsa per imprenditori, amministratori d’azienda e professionisti del marketing, che ti aiuterà a riscoprire chi sei, qual è l’essenza della tua impresa e ciò che ti rende autentico!


Ti è piaciuta questa puntata? Segui anche le prossime.
Iscriviti al podcast su Spotify o su YouTube.


Pensi ci sia qualcuno di interessante a cui dedicare un episodio del podcast The Big Brand Button?
Compila la scheda di partecipazione nel nostro sito! 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *